Il sangue scorre nel sistema circolatorio e coagula solo in caso di necessità grazie all’equilibrio tra fattori procoagulanti che lo spingono a coagulare, fattori anticoagulanti che lo trattengono dal coagulare troppo e fattori fibrinolitici che sciolgono eventuali trombi ovvero coaguli impropri. Una volta formatosi il trombo può sciogliersi oppure estendersi in vene o arterie o frammentarsi in emboli che attraverso la corrente sanguigna arrivano al polmone (embolia polmonare) o alle piccole arterie periferiche (embolia arteriosa, ictus) rallentando quindi la circolazione del sangue e riducendo l’apporto di ossigeno e nutrimento alle cellule che vanno in sofferenza e muoiono. La trombofilia è una condizione di disequilibrio del sistema di coagulazione determinata dai codici genetici ereditati dai genitori e può essere modificato da fattori legati allo stile di vita quali fumo, inattività fisica, obesità, ecc. o a situazioni che alterano il sistema come interventi chirurgici, fratture, immobilizzazione per malattie o paralisi, cancro, chemioterapia, terapie ormonali, gravidanza, parto, ecc. Durante la gravidanza il sangue tende a ipercoagulare con aumento dei fattori procoagulanti e riduzione di quelli anticoagulanti per il fisiologico impulso degli ormoni che preserva la donna dall’emorragia durante il parto. L’ipercoagulabilità è favorita anche dall’aumento del volume dell’utero che rallenta il ritorno del sangue al cuore e delle varici alle gambe dove il sangue ristagna. Fattori aggiuntivi ognuno dei quali moltiplica il rischio sono rappresentati da sovrappeso, ipertensione arteriosa, diabete, ipercolestrolemia, fumo, pregressi episodi personali o familiari di tromboflebiti, età superiore ai 40 anni. Il rischio di trombosi in una donna in gravidanza è quadruplicato rispetto a quello in condizioni normali e aumenta addirittura di 25 volte durante il parto e nei quaranta giorni successivi per liberazione tissutale di sostanze chiamate tromboplastine che attivano la cascata coagulativa. L’espletamento del parto mediante taglio cesareo, a causa dell’allettamento cui la paziente è obbligata per alcuni giorni, incrementa ulteriormente il rischio di eventi tromboembolici. Nella donna trombofilica l’ipercoagulabilità della gravidanza può diventare patologica con ripercussioni gravi sia sulla madre che sul feto. La placenta, che funge da filtro per regolare gli scambi nutrizionali fra madre e feto, ha un sistema vascolare formato da vasi molto piccoli. Se in questo sistema si formano trombi gli scambi si riducono con conseguente “insufficienza placentare” che si manifesta con ritardo di crescita fetale, distacco intempestivo di placenta, morte endouterina fetale e/o preeclampsia ovvero condizione caratterizzata da rialzo pressorio, perdita di proteine nelle urine ed altre alterazioni sistemiche con rischio di vita anche per la madre. Negli ultimi 30 anni si è verificato un progressivo aumento nell’impiego delle tecniche di procreazione medico assistita ma nonostante l’incremento delle percentuali di successo tuttora circa il 70% dei trattamenti fallisce per cause spesso non identificabili. La trombofilia nella gestante è stata recentemente messa in relazione con un esito avverso della gravidanza. Nelle donne che hanno difficoltà a iniziare o a portare avanti una gravidanza e che per questo intraprendono tecniche di fertilizzazione assistita con utilizzo di terapie ormonali si ipotizza che lo squilibrio in senso procoagulante diventi eccessivo con disturbo nella circolazione dell’endometrio, della placenta e del complesso materno-embrionale tale da ridurre le probabilità di iniziare la gravidanza o di portarla a buon fine. In caso di donne asintomatiche ma con storia riproduttiva sfavorevole (fallimenti ripetuti di trattamenti di procreazione medico assistita, aborti ripetuti, complicanze ostetriche) o precedenti tromboflebiti occorre inviare la paziente allo specialista ematologo per sottoporla a test diagnostici per la trombofilia. Alcune condizioni infatti possono essere considerate del tutto benigne e non richiedono l’adozione di misure preventive mentre altre richiedono l’assunzione di farmaci antiaggreganti (es. aspirina) o anticoagulanti (es. eparina) sotto stretta supervisione medica. L’eparina a basso peso molecolare è una molecola anticoagulante che favorisce la circolazione del sangue in tutti gli organi compresa la placenta ma non passa la barriera placentare quindi non arriva al feto e non provoca effetti collaterali nel bambino. Il dosaggio iniziale viene stabilito in relazione al peso corporeo e la somministrazione avviene sottocute ogni 24 ore per tutta la durata della gravidanza e fino a 40 giorni dopo il parto. Causa di rado una diminuzione delle piastrine per questo si raccomanda di verificarne il numero entro una settimana dall’inizio dell’assunzione di eparina e mensilmente di misurare i parametri della coagulazione per permettere un eventuale adeguamento del dosaggio del farmaco. Per quanto riguarda il parto naturale l’assunzione dell’eparina comporta un aumento del rischio emorragico soprattutto in caso di travaglio prolungato. Il taglio cesareo, in quanto programmabile, permette di somministrare l’ultima dose di eparina almeno 12 ore prima del parto e la successiva dopo almeno 8 ore riducendo il rischio emorragico e mantenendo la protezione nei confronti di quello tromboembolico.