L’emocromatosi classica è una malattia genetica recessiva cioè i genitori del soggetto affetto sono entrambi portatori della malattia ma non sviluppano i sintomi mentre i figli che ereditano il difetto genetico da entrambi i genitori sono malati. E’ determinata da una mutazione sul braccio corto del cromosoma 6 molto comune nella popolazione caucasica con 1 persona su 8-10 portatrice sana e 1 persona su 300-350 malata. La malattia si manifesta in genere tra i 40 – 50 anni ed è causata da un’alterazione di una proteina che regola l’assorbimento di ferro dagli alimenti con un sovraccarico nel sangue e successivamente in diversi organi del corpo quali fegato, cuore, pancreas, ipofisi, gonadi, pelle e articolazioni. Se nell’individuo normale il peso totale di ferro è di 2-5 grammi, in un adulto con emocromatosi si possono raggiungere i 40 grammi. Le manifestazioni sono 10 volte più frequenti negli uomini in quanto nelle donne il minor introito con la dieta e le perdite ematiche associate a mestruazioni e gravidanza riducono l’accumulo di ferro. I primi sintomi sono caratterizzati da dolori addominali perdita di peso, debolezza, sonnolenza, riduzione del desiderio sessuale, infertilità e scomparsa del ciclo mestruale. Possono poi subentrare aumento della pigmentazione della pelle, aritmie, insufficienza cardiaca e artrite. Se riconosciuta precocemente puo’ essere trattata in modo semplice evitando in questo modo complicanze e permettendo uno stile di vita normale. La scoperta tardiva della malattia può determinare danni irreversibili quali cirrosi, cancro al fegato, cardiomiopatie, diabete e atrofia testicolare. La diagnosi di emocromatosi si basa inizialmente sulla concentrazione nel sangue della sideremia, della ferritina e della saturazione della transferrina. La conferma avviene mediante il test genetico-molecolare delle mutazioni p.C282Y e p.H63D sul gene HFE del cromosoma 6. In alcuni casi è indicata anche una Tac o Risonanza magnetica con biopsia del fegato per determinare l’accumulo di ferro in questo organo. Nelle famiglie con soggetti malati il test dovrebbe venir consigliato come test predittivo nei parenti a rischio. La terapia consiste nella rimozione del ferro in eccesso tramite salasso settimanale o bisettimanale di 500 ml per 1-2 anni e ogni 3 mesi una volta ottenuti parametri normali, associando chelanti del ferro. L’ipogonadismo si manifesta nel 18% dei pazienti con emocromatosi classica e nel 96% di quelli con emocromatosi giovanile o di tipo 2, rara forma ereditaria autosomica recessiva causata dalla mutazione del gene dell’emojuvelina situato sul cromosoma 1 o del gene dell’epcidina situato sul cromosoma 19 che conduce ad un precoce e severo sovraccarico di ferro e allo sviluppo di gravi danni d’organo già prima dei 25 anni. L’ipogonadismo può provocare nell’uomo una diminuzione degli ormoni FSH e LH sotto il valore fisiologico e una riduzione della motilità degli spermatozoi già nella condizione di portatore sano. Nel soggetto malato l’accumulo di ferro può provocare un ipogonadismo secondario con riduzione dei peli corporei, alterata distribuzione della massa adiposa, problemi di erezione e di libido e un danno testicolare che, se trascurato, determina sclerosi e atrofia dei tubuli seminiferi con una riduzione fino alla scomparsa delle cellule di Leydig e atrofia dei didimi. Nella donna manifestazioni cliniche si osservano solo nei soggetti malati con riduzione dei livelli ormonali di FSH, LH ed estrogeni e conseguente amenorrea secondaria (scomparsa del ciclo) e problemi di libido. Nei casi più precoci l’ipogonadismo può essere risolto con la salassoterapia mentre nei casi più avanzati se il soggetto desidera procreare e testicoli e ovaie hanno mantenuto una sufficiente capacità funzionale si deve ricorrere alla terapia ormonale mediante gonadotropine. In caso di atrofia testicolare è preclusa la capacità riproduttiva ma si può ricorrere all’utilizzo di testosterone in grado di restituire miglioramento del tono muscolare, della libido e della potenza sessuale. In una coppia con problemi di sterilità si consiglia l’esame in presenza di uno o più segni o sintomi della malattia e nel caso il soggetto risulti portatore o affetto da emocromatosi classica occorre estendere l’analisi al partner a causa dell’alto rischio di trasmissione ereditaria. Nel caso in cui entrambi i genitori risultino portatori è possibile sottoporre il nascituro al test prenatale mediante villocentesi o amniocentesi tuttavia, considerata la buona qualità e la durata di vita pressoché uguale alla popolazione generale, l’analisi è ritenuta superflua. Anche l’indagine della malattia sui minorenni non è indicata in quanto non è necessaria una prevenzione a questa età.